Questa è una favola per artisti adulti: tratta di arte e di bellezza. Sfiora i temi dell’odio, della gelosia, dell’inganno e del pregiudizio. Per il protagonista narratore, l’arte si pone come strumento di conoscenza, di conquista e di liberazione dall’insicurezza e dalla paura.
Un tempo non troppo lontano
(Favola per artisti adulti)
Un tempo non troppo lontano, quando avrebbe potuto essere un giorno qualunque, entrai al “Cafè Latino”, in via Roma, a Sanremo.
Quel pomeriggio, nel locale, c’erano più persone del solito e tutti i tavoli del pianterreno erano occupati. Solo io scelsi un posticino tranquillo sul soppalco, visto che ero intenzionato a scrivere qualche appunto di lavoro. Quel bar è un luogo perfetto per nascondersi, riservato quanto basta, a portata di mano e in pieno centro. Gli amici non sapevano che lo frequentavo e non avrebbero mai dovuto saperlo, perché ho sempre avuto bisogno di ritagliare abbondanti spazi e tempi esclusivamente per me stesso, da non condividere con nessuno. Ma questi ritagli, nell’arco della giornata, si trovano un po’ qua e un po’ la, più o meno in ordine sparso… e sono stato costretto ad acquisire una certa abilità per proteggerli.
Tornando agli amici, ricordo che poco prima li avevo lasciati davanti ad una libreria di Via Roma, per andare a scegliere un libro di Thomas Mann, basandomi sui presunti gusti di Marta… una ragazza che mi destava un certo interesse…ma che non avrebbe mai ricevuto quel mio regalo.
Comunque
(Favola per artisti adulti)
Comunque, dopo un’ora di preziosa concentrazione, seduto sul lungo divano imbottito che prendeva tre lati del soppalco, mi stiracchiai per bene, guardando la tazza di cioccolata non più fumante, con le dita incrociate dietro la nuca, allungando le gambe sotto il tavolo e sbadigliando con la bocca spalancata al massimo delle possibilità. Poi, con i piedi, urtai qualcosa. Sollevai un lembo della tovaglia chinandomi a guardare e, da quell’esatto momento, smisi di sbadigliare fino all’ora di andare a dormire. Stanchezza e sonnolenza svanirono come per incanto.
Vidi uno strano quaderno, molto spesso, con una copertina in pelle che pareva cucita a mano. Si notava un veliero marchiato a fuoco, sul fronte. E un lungo laccio, anch’esso di pelle, avvolto tutto intorno, si chiudeva con un nodo di scotta. Pensai che appartenesse a qualche lupo di mare, esperto in navigazione, ma ebbi un dubbio quando mi accorsi che profumava di “Joy Jean Patou”.
Visto che continuavo ad essere solo, sul soppalco, mi sentii libero di sciogliere il laccio, di sfogliare alla corsa quelle pagine, di sbirciare, di sorprendermi e, infine, di infilarmi il quaderno nel giubbotto, come un ladro, pregustando la possibilità di quella nuova lettura serale, nel silenzio della mia casa, in soggiorno, davanti ad una enorme vetrata che si affaccia sul mare e che le mareggiate hanno già sfondato due volte negli ultimi vent’anni.
Rigorosamente solo, cioè senza invitare Marta a cena e a dormir con me…Quanto poteva interessarmi il contenuto di un quaderno, appena adocchiato, per farmi rinviare la compagnia di una bella donna, in un letto caldo?
Subito dopo mi sbrigai a finire la cioccolata, a pagare e a salutare il barista, senza soffermarmi a scambiare due chiacchiere con lui, come invece ero solito fare.
Uscito fuori
(Favola per artisti adulti)
Uscito fuori proseguii a destra per raggiungere la pista ciclopedonale, evitando piazza Colombo e corso Garibaldi, quindi qualunque amico o conoscente che avrebbe potuto sottrarmi dei minuti ormai troppo
preziosi per quella nuova ansia di sfogliare un piccolo tesoro, trovato in un posto così insolito. Pensai a tutti gli stereotipi di un tesoro “come si deve”, stabilendo i luoghi idonei al ritrovamento: un’isola esotica, un fondale marino, oppure, al massimo, una soffitta. Dato che il bar non era stato incluso nell’elenco, conservai un pizzico di diffidente disagio. Nonostante questo, lungo la strada del ritorno, ebbi la sensazione che un destino straordinario mi stesse preparando una sorpresa alquanto speciale e pareva che il vento, gli strani colori del cielo e del mare, gli odori delle piante, la luce dell’imbrunire, volessero accrescere quella suggestione che stava occupando la mia mente.
Entrato nella lunga galleria che porta a Capo Verde, ci fu un black out. Immerso nel buio pesto, il primo istinto fu quello di stringere più forte il “tesoro” che tenevo ancora imprigionato nel giubbotto. Solo dopo un po’ accesi la pila che tenevo sempre in tasca.
Arrivato a casa
(Favola per artisti adulti)
Arrivato a casa non pensai nemmeno a cenare e la serata trascorse velocemente perché accantonai disagio e diffidenza, dedicandomi alla mia nuova lettura, che certamente non divorai in breve tempo, come avevo creduto di fare, poiché contemplavo a lungo i disegni del quaderno e rimuginavo spesso sugli appunti lasciati dall’artista.
Riporto qui di seguito il contenuto di alcune pagine che sfogliai quella sera, prima di addormentarmi.
Cosa può indurre un artista a rappresentare il giudizio divino in questo modo? Vorrà persuadere fruitori maschili e femminili allo stesso messaggio? O sottintende delle differenziazioni nel peso della stessa colpa? Viene concepita la condanna eterna per un peccato temporaneo… strano…eterne, nell’universo, sono le conseguenze di ogni evento, dal più grandioso al più piccolo e apparentemente banale. Forse, la condanna eterna non è altro che la conseguenza infinita di uno sbaglio qualunque. Ma lo sbaglio, spesso, non coincide col peccato. A volte, là dove c’è sbaglio non c’è peccato e là dove c’è peccato non c’è sbaglio. Insomma, puoi sbagliare senza peccare e peccare senza sbagliare. E’ un po’ come dire che dal male può nascere il bene. Ma la Storia ci ha ampiamente insegnato che è vero anche il contrario.
Non è mai stato convincente il male che condanna sé stesso.
Che bello!
(Favola per artisti adulti)
“Che bello!” pesai: “Deve essere grandioso peccare senza sbagliare!”
Anche la seconda pagina conteneva un disegno seguìto da un breve scritto. Eccola:
La vittima si fa giudice di un essere più potente, lo sconfigge e lo condanna, mettendo in dubbio il valore del suo ruolo. L’essere umano, che ha creato il peccato, simboleggiato dal demonio, può stravolgere i riferimenti etici, può creare una quantità infinita di codici di comportamento, a danno di qualcuno e a vantaggio di qualcun altro, misurando i limiti del male, del bene, della libertà, del rispetto per gli altri, a seconda della razza, della religione, del sesso, del benessere economico, del ruolo sociale, delle idee politiche, della forza fisica, del potere, della convenienza personale…e di chissà quant’altro.
La rivoluzione stessa non è forse tutto questo?
Quando smisi di contemplare
(Favola per artisti adulti)
Quando smisi di contemplare, di leggere e di rimuginare, pensai che l’autore non dovesse essere una persona così tanto preoccupata del bene e del male…anzi, mi convinsi che gli artisti avessero fama di non preoccuparsene affatto.
Di quella sera ricordo ancora l’ultimo pensiero, prima di addormentarmi: ”Speriamo che l’artista sia almeno di sesso femminile…magari carina…interessante…oltre che colta…disponibile…un’esaltante diavoletta…come quella dei suoi disegni…”
Il sogno
(Favola per artisti adulti)
E scivolai nel mondo dei sogni: e che sogni!
Il primo fu quello che mi rimase più impresso:
stavo osservando, dal basso, la scultura gigantesca di due titani, in pietra grigia, che insieme sorreggevano il mondo sulle spalle. Ma il mondo non era altro che la terrazza al primo piano di un palazzo. Il tutto sormontava l’entrata principale di un grande portone spalancato. Dall’esterno intravedevo l’androne nella semioscurità. Poi entravo, osservavo due grosse teste di leone, in terracotta, poste l’una di fronte all’altra, in alto, sulle due pareti laterali occupate, più in basso, da quattro grandi specchiere. Nel sogno pensavo: “Perché qui è tutto così grande? Forse è solo una questione di proporzioni…o forse no…”
La mattina dopo, appena svegliato, volli cacciare velocemente il sogno dai miei pensieri, deciso a organizzare l’intera giornata e l’incontro serale con gli amici.
Ero soddisfatto perché sapevo che tutto sarebbe trascorso a meraviglia, senza intoppi e imprevisti, comprese le abituali soddisfazioni nel lavoro. Un lavoro che offriva generosi margini di libertà nella gestione del tempo.
Mi sentivo al sicuro come la lepre che si è appena intanata per sfuggire alla volpe.
Charleston
(Favola per artisti adulti)
La sera arrivai al “Charleston”, in corso Mombello, per un appuntamento con tutta la compagnia. Eravamo seduti all’esterno, chiacchieravamo e ci guardavamo intorno, senza perdere di vista le belle ragazze che passavano.
“Guardare le ragazze è un’arte”, disse Tito.
“Un’arte piuttosto facile”, risposi io, che ero un maestro nel semplificare le cose.
E lui puntualizzò: “Non è affatto facile. Bisogna saperle osservare senza farsene accorgere, bisogna capire più cose possibili con un solo sguardo, in cui non si deve leggere desiderio di possesso. E’ un momento di elevazione dello spirito: devi riconoscere e distinguere bellezza, fascino, personalità… tenendo ben presente che tutto va considerato da un punto di vista personale, senza pregiudizi o preconcetti… ci vuole tecnica… e la tecnica è il presupposto fondamentale dell’arte…gli artisti hanno consumato molte parole ed hanno riempito molti libri su come si guarda un’opera d’arte e sul saper vedere”.
“Già”, risposi, cadendo subito dopo in un imprevedibile silenzio, guardando il mio amico e pensando ad una pagina del quaderno segreto con un titolo scritto in grande: “La tecnica come presupposto fondamentale dell’arte”… ma non l’avevo ancora letta.
“Hai visto?” chiese Tito
“Cosa?”
“La ragazza che è appena passata!”
“No, non l’ho vista”
“Non sai cosa ti sei perso! Manchi di tecnica…”
Poi continuò a parlare, ma il mio sguardo e la mia attenzione, ormai, si erano persi dall’altra parte della strada, osservando incredulo la facciata del palazzo al numero tredici di corso Mombello…con il suo portone spalancato…con due titani in pietra grigia che sorreggevano, sulle spalle, una terrazza del primo piano…l’androne nella semioscurità…
“La stessa del sogno!” pensai “Non l’avevo mai notata prima… che strano… forse bisognerebbe alzare lo sguardo un po’ più spesso, quando si cammina per strada… o forse vivo a Sanremo da troppo poco tempo”.
Distrazione
(Favola per artisti adulti)
Da buon osservatore teorico-pratico, Tito notò la mia distrazione e disse: “Ti sei innamorato.”
“No”, risposi.
“Si, ma non lo sai ancora. Me lo confermerai tra non molto”.
“Vuoi sapere meglio di me se sono innamorato o no?”
“Non ho detto che voglio saperlo meglio di te: lo so meglio di te e basta…senza volerlo”.
Purtroppo, prima di dar peso a quella frase, feci trascorrere molto tempo.
Per fortuna eravamo numerosi nella compagnia, e tutti alquanto affiatati: fu facile cambiare argomento. Nonostante la bella serata che ora non mi soffermo a raccontare, tornai volentieri a casa, solleticato dalla voglia di leggere il mio quaderno e di scoprire, finalmente, se l’artista fosse uomo o donna.
Tanto per cominciare risfogliai velocemente le pagine. E feci bene perché trovai un bel disegno, in bianco-nero, che rappresentava il portone del palazzo al numero tredici di corso Mombello: quello dei titani. “Mi posso tranquillizzare”, pensai. “L’avrò sognato perché l’avrò visto, senza memorizzarlo, sfogliando le pagine prima di addormentarmi”. Mi rendevo conto che stavo cercando di rassicurarmi da chissà cosa…ma le bugie che ci raccontiamo allo specchio sono sempre le più pericolose.
Immediatamente avrei dovuto ammettere a me stesso che gli eventi si erano svolti, invece, in ben altro ordine: prima ci fu il sogno, in secondo luogo notai la facciata del palazzo e, infine, vidi il disegno nel mio quaderno segreto, così come il lettore può vederlo qui sotto
Continuando a sfogliare
(Favola per artisti adulti)
Comunque, continuando a sfogliare, notai finalmente i risultati di una statistica, basata su una sola domanda rivolta a più persone approcciate a Sanremo, per strada, nei bar, nei negozi…
Riportando il resoconto, finalmente, l’artista aveva deciso di esprimersi in prima persona. Mi chiesi che razza di carattere potesse avere chi approccia degli sconosciuti, o quasi, chiedendo: “Potrebbe dirmi, per favore, qual è l’insulto che considera più offensivo? Oh! Non si preoccupi…valgono anche le parole più volgari! Le chiedo di esprimersi sinceramente e con la massima libertà! Non consideri particolarmente la circostanza, o il sesso della persona a cui l’insulto può essere rivolto…fa lo stesso”.
Riporto qui di seguito la pagina.
Indagine sull’insulto efficace
(Favola per artisti adulti)
Graduatoria degli insulti considerati più offensivi, rilevati da un centinaio di persone. Questa ricerca è stata compilata nell’arco di alcuni mesi, scegliendo istintivamente gli ambienti, i momenti e le persone da approcciare, a cui è stata posta la domanda. Il sesso e la professione specificati appartengono ai primi intervistati che hanno fornito la risposta corrispondente.
Ho preferito specificare più professioni per la numero uno della graduatoria. La ricerca è stata abbandonata quando è emersa una significativa ripetitività nelle risposte.
Insulto Sesso Professione
16° sei una persona ignorante M musicista
15° sei inutile F impiegata
14° maiale (o porco) M elettricista
13° ma ti sei vista? (accompagnando
L’insulto con un significativo gesto
della mano, che ti indica dalla testa
ai piedi) F impiegata
12° figlio di un bastardo M nessuna (per scelta)
11° non capisci niente M artigiano
10° sei scemo F maestra elementare
9° vaffanculo M impiegato
8° faccia da impotente F docente
7° viscido F docente
6° falso F cuoca
5° testa di cazzo M meccanico
4° una bestemmia qualunque F docente di religione
3° disonesto M elettrotecnico
2° truffatore M artigiano
1° figlio di puttana M impiegati, magazzinieri, avvocati,
coltivatori, baristi, magistrati,
commercianti, politici.
Alcuni hanno aggiunto: “Attenzione! Siamo in Italia e la mamma non si tocca! La mamma è sempre la mamma!
La mia curiosità è stata soddisfatta. Potrei essere sorpresa dei risultati, perché negli insulti non vengono quasi mai tirati in ballo i cosiddetti vizi capitali della tradizione ebraico-cristiana: insomma, è più offensivo essere considerati ignoranti, piuttosto che superbi. Figli di puttana, piuttosto che lussuriosi. Teste di cazzo, piuttosto che irosi. Viscidi o falsi, piuttosto che invidiosi. Inutili, piuttosto che accidiosi. Brutti, piuttosto che golosi, ecc. ecc. ecc.:
Non per niente stanno aumentando le guerre e l’obesità. I lussuriosi e le puttane, piuttosto che i figli di puttana. I superbi, piuttosto che gli inutili. Le chirurgie plastiche, piuttosto che i brutti e rassegnati…e via dicendo…
Posso concludere che stiano cambiando alcuni valori su cui si fonda la convivenza civile. In questo caso bisogna prestare una maggiore attenzione ai valori che stanno scomparendo, a quelli rimpiazzati, a quelli che scompaiono ma che non vengono rimpiazzati affatto…e alle conseguenze!
Capito? C’è scritto “Potrei essere sorpresa dei risultati”.
La certezza
(Favola per artisti adulti)
Così ebbi la certezza che fosse una donna. Volli sperare che fosse anche carina…brillante…affascinante…colta…e disponibile…si, soprattutto disponibile, come si addice a un’esaltante peccatrice, perché forse possiedo un po’ di tutti i vizi capitali della tradizione ebraico-cristiana, più qualche difetto, qua e là, fra quelli elencati nella graduatoria dell’indagine sull’insulto efficace.
C’era un ultimo dettaglio da non trascurare: dovevo assolutamente trovare l’autrice del mio “tesoro segreto”.
Alcune sere dopo
(Favola per artisti adulti)
Sfogliando il “mio” quaderno, qualche pagina più avanti, trovai un appunto che mi incuriosì perché non ne capivo assolutamente il senso, l’importanza, il significato. C’era scritto: “ l’ascensore impiega cinquantacinque secondi a salire dal piano terra all’ultimo piano, e altrettanti secondi a scendere, per un totale di centodieci secondi a disposizione. Come tempo non è male, ma potrebbe esserci di meglio”.
“ Scommetto che si tratta del solito palazzo dei titani”, pensai. “Centodieci secondi a disposizione per fare cosa?… Basta: sono un merlo se ci rimugino troppo sopra…non me ne importa abbastanza”.
Poi, disteso sul divano, posai il quaderno sul tavolino. Voltandomi, mi cadde lo sguardo su una pianta di clematide bianca che Marta mi regalò, quando decisi di arredare la casa in cui abito… ma quell’offerta mi parve accompagnata da un sentimento particolare, che andava oltre l’amicizia e il sesso che ci avvicinavano. Il mio sguardo si era focalizzato su quel primo, piccolo, perfetto fiore che mi sembrò magico…e lo fu veramente perché, subito dopo, contro le mie inclinazioni e le mie abitudini, le inviai un breve SMS: “Marta, è fiorita la prima clematide bianca. E’ molto bella”. Poco dopo mi arrivò la risposta:
“Io sto lavorando in una serra piena di clematidi bianche, tutte fiorite. Che barba!”.
Quella fu l’ultima volta
(Favola per artisti adulti)
Quella fu l’ultima volta che le inviai un SMS. Riuscii anche ad evitarla per alcune settimane potendo rinunciare, nel frattempo, ai luoghi che frequentava abitualmente.
La mattina dopo mi svegliai di pessimo umore, mi alzai, girai alla larga dal mio lavoro e, intorno alle dieci, percorsi corso Mombello, varcai il portone del palazzo coi titani, sentendomi esattamente come quel merlo che la sera prima avevo sperato di non essere. Non mi fece piacere constatare che anche l’androne era esattamente come l’avevo visto in sogno, con le sue grandi teste di leone in terracotta, poste esattamente dove dovevano essere, con le sue quattro grandi specchiere, poste esattamente dove dovevano stare, e con quel merlo riflesso e moltiplicato all’infinito, che ci passava proprio in mezzo e che forse avrebbe fatto meglio a trovarsi da un’altra parte. Comunque svolazzai fino all’ascensore, lo chiamai, entrai, salii fino all’ultimo piano e ridiscesi subito, solo, indisturbato, controllando bene il cronometro che tenevo al polso, confermando quello che anche un merlo intuisce: cinquantacinque secondi per salire all’ultimo piano e altrettanti per scendere: totale centodieci secondi a disposizione. “A disposizione per fare cosa?” pensai…ma la domanda risultò troppo difficile anche per un passeriforme stazionario a caccia di prede. Non mi venne in mente proprio niente, ma uscii lo stesso dal portone recuperando il mio buon umore: sentivo che mi stavo addentrando in qualcosa di non ben definibile…un gioco che mi attraeva…anzi, mi affascinava. Forse sarebbe più corretto dire che…mi intrigava.
La mia professione
(Favola per artisti adulti)
Non ho ancora parlato della mia professione: io sono un designer industriale e artigianale. Ritengo di vivere ai margini dell’arte e non mi considero un vero e proprio artista, anche se so di essere un creativo: sono una specie di sciacallo dell’immagine, uno sfruttatore delle forme. Non mi esprimo in questo modo per denigrare la mia professione.
Libertà creativa
(Favola per artisti adulti)
Il fatto è che devo lavorare sulla creatività abbinata alla funzionalità…e questo pone forti limiti alla stessa libertà creativa. Mi capita sempre più spesso di creare oggetti e forme che possano soddisfare mediamente otto funzioni. Il marchio dei miei progetti è una piovra col numero otto impresso sulla testa. Ho il compito di invogliare all’acquisto, all’uso e preferibilmente anche al consumo di oggetti aventi più funzioni rigorosamente pratiche, oltre che estetiche. Devono appagare il senso del “bello” inteso in modo flessibile, ingannevole se non intrigante. Forse, a causa delle tendenze narcisistiche del nostro tempo, per troppi mesi sono stato destinato a progettare soprattutto specchiere. Per tutte le esigenze, di varie forme e dimensioni, “condite” con materiali tradizionali o inimmaginabili. Specchiere per riflettere sé stessi cercando di contemplarsi con indulgenza, o come un’opera d’arte incorniciata, preziosa, valorizzata, affascinante, o interessante, o tutte queste cose messe insieme.
Per ingrandire spazi angusti.
Per replicare all’infinito un singolo, prezioso soggetto.
A questo proposito un giorno un tizio venne a ringraziarmi per un progetto che comprendeva più specchiere identiche. Spesso gli era capitato di giocare alla guerra, in casa, col figlio ancora piccolo e alquanto vivace. Gli capitò di vederlo marciare come un soldatino, fra le specchiere, riflesso e moltiplicato all’infinito. Mi confidò che avrebbe tanto desiderato una famiglia numerosa, ma che il destino gli aveva riservato un figlio unico. Mi disse che gli era bastato vedere il bambino così, stramoltiplicato all’infinito, per imparare ad apprezzare il grande valore dell’unicità.
Il record
(Favola per artisti adulti)
Ma il record delle stranezze per gli specchi spetta a un altro tizio che mi commissionò il progetto di una specchiera grande quanto una parete della sua camera da letto (di forma cubica). Fece eseguire cinque specchiere uguali, più una con due aperture: una per la porta e l’altra per la finestra. Mi confidò che avrebbe tanto desiderato un’amante unica, ma che il destino gliene aveva riservate molte. Anche lui giocava fra le specchiere, ma non alla guerra. Praticava spesso i suoi giochi, con l’unica donna veramente amata, fra le sei specchiere. All’uomo bastò vederla così, moltiplicata all’infinito…per imparare ad apprezzare il grande valore della molteplicità. Rimasi leggermente sorpreso dalla scelta di porre uno specchio anche al posto del pavimento…ma poi ci volli riflettere sopra e pensai che ogni buon lavoro meriti di essere completato per bene, da qualsiasi punto di vista e in ogni minimo dettaglio.
Stranamente i due clienti arrivarono al mio studio nello stesso giorno, il primo al mattino e il secondo al pomeriggio, entrambi per ringraziarmi e per pagarmi, aggiungendo una certa somma per aver ricevuto una lezione sull’arte di saper vivere: lezione che nessuno mi aveva richiesto e che non mi sarei mai permesso di impartire.
Decisi di rinunciare
(Favola perartisti adulti)
La sera decisi di rinunciare per sempre a tutti i progetti che avrebbero avuto a che fare con gli specchi e di vivere il mio lavoro in libertà: unica o molteplice che fosse.
Così anch’io feci il mio piccolo passo avanti nell’arte di saper vivere. Dovevo ancora decidere, però, che peso dare all’unicità e alla molteplicità: decisi di non darne alcuno, proprio per tutelare la capacità di star bene al mondo e per rimanere soddisfatto del mio lavoro: infatti l’artista produce unicità, il designer no. Molteplicità e ripetitività sono poco compatibili con l’arte.
Il piacere sottile
(Favola per artisti adulti)
Così, senza preoccuparmi dei giochi di mercato, abbandonai la più efficace fonte di reddito che mi fosse mai capitata: quella delle specchiere, in nome della creatività che avrebbe potuto avvicinarmi maggiormente al mondo dell’arte, e forse anche all’autrice del mio quaderno segreto.
Volli considerare la libertà come presupposto fondamentale della creatività, e la tecnica come presupposto fondamentale dell’arte (lo avevo imparato dal quaderno).Così mi presi una bella vacanza-lavoro. La meta era Asolo, un bellissimo paese del Veneto, che scelsi perché rovistai ancora fra le pagine dell’artista, con la certezza di rovistare anche nel suo animo…e con tutto il piacere sottile che ne derivava. Trovai anche dei disegni che riportavano alcuni scorci di quelle zone, come potevano essere nel Cinquecento, tratti da alcuni sfondi di Giorgione, di Tiziano e di altri autori.
Ne riporto alcuni
Ma ecco le pagine che mi interessarono maggiormente
(Favola per artisti adulti)
….Ma ecco le pagine che mi interessarono maggiormente, perché mi permisero di sapere ciò di cui avrei avuto bisogno, ispirando un mio nuovo lavoro.
Ancora una statistica…
L’amor sacro e l’amor profano. Tiziano, 1516.
Quale delle due donne, secondo te, rappresenta l’amor sacro?
RISPOSTE
Quella alla tua sinistra Quella alla tua destra
Massimo – impiegato Enrico – commerciante
Mario – pensionato Alessandro – commerciante
Roberto – commerciante Rita – docente
Mario – pensionato Antonietta – collaboratrice scolastica
Domenico – funzionario di banca Paolo – commerciante
Giorgio – allenatore Flavio – ragioniere
Ivan – studente Antonella – scrittrice
Elena – fisioterapista Dario – croupier
Emilio – coltivatore Marina – avvocato
Maria – pensionata Gabriella – impiegata
Silvia – docente Davide – studente
Alessio – impiegato
Grazia – docente
Mario – perito elettronico
Massimo – infermiere
Alfredo – meccanico
Bruno – studente
Alessandra – studentessa
Flavio – magazziniere
Enrico – impiegato
Emanuela – impiegata
Stefania – commerciante
Camillo – pensionato
Franca – docente
Sono state intervistate trentacinque persone, scelte a caso.
Di queste, solo undici hanno interpretato correttamente il messaggio visivo dell’artista cinquecentesco. Molte altre hanno visto la nudità come elemento che allontana dal senso del pudore e, con questo pensiero, sono state indotte a formulare un’interpretazione opposta rispetto alle intenzioni dell’artista. Collegare la nudità alla mancanza di senso del pudore, del rispetto di sé e degli altri, della discrezione, in un’opera d’arte, non è forse il risultato di un pregiudizio? Quanti ne possiede ognuno di noi? Quante persone interpretano un dipinto, senza capirlo, indipendentemente dai livelli culturali, grazie alla pressione del pregiudizio? Quanto ne esiste all’interno di una cultura universalmente accettata, quanto è importante liberarcene, conservando con attenzione tutti i pregiudizi che ci servono a conoscere e a praticare meglio il mondo?
La scelta
(Favola per artisti adulti)
Io scelsi la donna a destra. Ma solo per quel piccolo oggetto che sorregge con una mano tesa verso il cielo. Solo perché è un brucia incensi…e perché dovevo progettarne uno, senza nemmeno conoscerne la collocazione e l’esatta funzione, visto che il cliente non voleva assolutamente parlarmene. Così mi disse: “Lei pensi a progettarmi un brucia incensi simile a quello dell’ Amor Sacro di Tiziano. Non perda tempo a farmi domande, tanto non rispondo. E stia attento. Ho detto simile, e non uguale.
Con quella frase constatai come gli eventi della mia vita privata e professionale si intrecciassero con gli scritti e i disegni di quello che chiamavo “il mio quaderno segreto”, anche se in realtà non era mio, anche se non si trattava di un quaderno propriamente detto e anche se non era poi così segreto, visto che almeno un’altra persona ne conosceva il contenuto molto meglio di me. Quelle strane coincidenze mi piacevano perché mi sentivo attratto da un gioco stuzzicante che mi faceva credere, in qualche modo, sempre più vicino all’artista che volevo conoscere.
Ad Asolo
(Favola per aertisti adulti)
Asolo era il paese d’origine del mio cliente che lì mi invitò, ospite a casa sua, dopo avermi parlato a lungo di Tiziano. Così partii una mattina, molto presto, senza dir nulla agli amici. In fretta arrivai alla mia auto che spesso parcheggiavo di fronte al forte di Santa Tecla. Penso di aver trascorso un bel po’ di secondi a fissare una clematide bianca che qualcuno mi aveva fatto trovare, imprigionata con tanta cura, sotto il tergicristallo anteriore sinistro. Pensai subito a Marta e mi chiesi come avesse fatto a sapere che sarei partito. Non avevo parlato con nessuno del mio viaggio e davo per scontato che lei conoscesse il significato simbolico di quel fiore: “buona fortuna al viaggiatore”. Avevo appreso il significato simbolico di molte piante dal quaderno segreto che ultimamente pareva essere diventato la mia principale fonte di informazione pronta al consumo. Liberai la clematide dal tergicristallo, la posai nel porta lattine e finalmente partii.
Serbavo ancora rancore per Marta
(Favola per artisti adulti)
Serbavo ancora rancore per Marta perché non mi piace essere preso in giro e perché avevo interpretato il suo ultimo SMS nel seguente modo:
“Io sto lavorando in una serra piena di clematidi bianche tutte fiorite” = mi sto facendo il culo a produrre ciò che per te è straordinario, eccezionale e bello, ma che per me è ordinario, non conta nulla, è significativo solo nei limiti in cui mi produce un reddito, mi costa fatica e non mi ispira alcun sentimento estetico.
“Che barba!” = non annoiarmi esprimendo le tue emozioni che mi lasciano indifferente. Non sei nemmeno più intenzionato a darmi l’unica cosa che di te poteva interessarmi, visto che non ti fai più vivo da un pezzo. Fine della nostra relazione.
Decisi di rispettare la sua volontà…ma allora perché offrirmi un’altra clematide? Comunque, le mie attenzioni nei suoi confronti si stavano dimostrando inversamente proporzionali a quelle prestate per l’autrice del quaderno segreto, che stava indirizzando altrove le mie fantasie, i programmi, le strategie, il tempo libero…i desideri.
I fiori spontanei
(Favola per artisti adulti)
Prima di partire fotocopiai alcuni disegni di fiori spontanei, trovati fra le prime pagine. Li appesi alla parete della mia camera, di fronte al letto.
Eccoli:
Tornando al mio cliente, posso dire che era spropositatamente ricco e colto. Non voglio elencare tutte le sue altre qualità perché potrei annoiarmi. So soltanto che tutta la sua persona corrispondeva ad uno stereotipo tanto preciso quanto raro e, nonostante questo, era l’uomo più libero da pregiudizi che avessi mai conosciuto. In ogni suo discorso non l’avevo mai sentito generalizzare un concetto qualunque. Per lui, ciò che contava maggiormente, erano innanzitutto le singole e personali esperienze. Non dava mai nulla per scontato e non si conformava spesso a valori generalmente comuni. Si chiamava Massimo e mi pareva che quel nome fosse il più adatto a rappresentarlo. Voleva e otteneva sempre il meglio. Incline alla riservatezza, sapeva difenderla molto bene, come protetta in una torre inespugnabile. Tutto questo non faceva altro che accrescere curiosità, interesse e attrazione nei suoi confronti, soprattutto da parte delle donne. Inizialmente conservai una specie di distacco istintivo…fu così che mi aprì le porte della sua casa: la casa di un collezionista d’arte che, fra tanti capolavori, non includeva nemmeno un’opera a tema sacro attinente al cristianesimo. Dopo pochi giorni gli presentai il progetto, in terracotta, del brucia incensi. L’originale sarebbe stato in bronzo. Lo contemplò come si contempla un tramonto, o una luna piena, o l’alba, o cose del genere. Insomma, fui sicuro di aver accontentato il mio cliente.
Ellebi
(Favola per artisti adulti)
Penso di aver avuto la stessa espressione quando trovai un disegno speciale, nel quaderno segreto, in una pagina più piccola delle altre perché tagliata lungo i bordi di tre lati. Accadde la sera stessa del mio arrivo ad Asolo, nella camera degli ospiti che era stata riservata per me. Durante l’esplorazione di quelle pagine, divenuta abituale prima di addormentarmi, rimasi fortemente impressionato dall’autoritratto dell’artista allo specchio, in qualche modo somigliante all’attrice Lauren Bacall, che ho sempre considerato come la donna più bella di tutti i tempi.
Da quel momento decisi di chiamarla Ellebi, almeno fino a quando non avrei scoperto il suo vero nome. Grazie al progetto di un brucia incensi mi sentii, per la prima volta, un vero artista. L B stava ispirando la mia esistenza ed ero felice per il semplice fatto di sapere che esisteva. Piano piano mi stavo innamorando dell’immagine che mi ero fatto di lei: non solo di quella intellettiva, del carattere e del temperamento che potevano trasparire attraverso gli scritti e i disegni, ma anche di quella fisica…incoraggiato dall’autoritratto…ci mancava solo quello. Cercai di darle un’età. Un volto così poteva corrispondere più o meno ad una ragazza di ventisette anni, forse anche trenta. Considerando la data di esecuzione del disegno, potevo aggiungere qualche anno…arrivai alla comoda conclusione che fossimo di età compatibile…se tutto ciò avesse dovuto avere qualche importanza in futuro.
Con tali disposizioni d’animo ispezionavo nuove pagine e trovavo argomenti e informazioni di vario genere, come filtrati da una bevanda magica che sorseggiavo e centellinavo quasi ogni sera, di nascosto, senza parlarne nemmeno col migliore amico, ma…
…Tito non è un babbione qualunque
(Favola per artisti adulti)
Appena tornai a Sanremo fu proprio lui a organizzare una bella festa, a casa mia. Avrei dovuto cucinare io e gli ospiti li avrebbe scelti lui, come il menù, il vino, la musica e le donne. Ogni scelta fu particolarmente attenta e minuziosa. Tranne una: invitò anche Marta. Marta venne, mangiò di gusto ma non mi fece i complimenti, chiacchierò con tutti, evitandomi con maestria, ballò con tutti ma non con me. Così presi da parte Tito e gli dissi del mio scarso entusiasmo per quell’invito, spiegandogliene la motivazione e riferendogli anche il contenuto dell’SMS, che lui definì semplicemente “stridente”. Ovviamente disse che avrei dovuto parlargliene prima, ma il fatto che Marta si trovasse nel posto sbagliato al momento sbagliato, avrebbe rappresentato per me una buona occasione per “sbarcarla” definitivamente.
Più tardi mi trovai in cucina, solo con lei, per circa un minuto. Così le dissi: “potevi evitare di farmi trovare un’altra clematide sotto il tergicristallo”.
“Quale clematide? Io non ti ho fatto trovare nessuna clematide. Sotto il tergicristallo, hai detto? Cos’è? Un matrimonio?”
Mi resi conto
(Favola per artisti adulti)
Mi resi conto che un gesto del genere, effettivamente, non era nel suo stile…e il dialogo si chiuse così, senza una risposta da parte mia, anche perché lei era molto distratta, frettolosa di uscire dalla cucina, comunque con la testa infilata nel frigorifero, impegnata a prendere una torta con la mano destra e a leccarsi le dita della sinistra, sporche di crema del dolce che Tito aveva servito poco prima.
Mi diedi da fare con tutto il resto della compagnia…e mi volli dimenticare subito di Marta perché intorno a me c’erano molte distrazioni, tutte al femminile. Si stava ballando un tango argentino; molti dei presenti frequentavano scuole di danza, compreso il sottoscritto. Anch’io sono un ottimo ballerino.
Sorvolo sulla notte fonda perché non sarebbe carino parlarne e passo direttamente al giorno successivo.
Domenica mattina mi svegliai in un letto particolarmente disfatto, con una ragazza al mio fianco di cui non ricordavo nemmeno il nome; comunque ricordavo tutto il resto.
Quando riuscii a liberarmi di lei erano circa le undici: l’ora adatta per leggere il vangelo secondo Ellebi.
Come al solito presi una pagina a caso che, come molte altre, aveva un titolo. Eccola qui di seguito.
Fenomenologia dell’odio perfetto
(Favola per artisti adulti)
Conobbi l’odio molto presto e, di conseguenza, presi coscienza del potere. Non è poi così raro che succeda nell’infanzia. Imparai subito che l’odio innesca il potere. Imparai molto più tardi, invece, che se è il potere a innescare l’odio, allora si arriva al disastro. Nella mia esperienza infantile tutto rimase segreto, tra me ed un mio coetaneo. Avevamo circa nove anni e non ci conoscevamo. Nessuno dei due sapeva il nome dell’altro. Nonostante questo, ogni volta che lui mi vedeva, correva verso di me per fare a botte. Così imparai molte cose, in breve tempo, sull’autodifesa. Una volta, stressata dopo l’ennesimo pestaggio di strada, lo maledissi dicendogli: “Morirai presto e non diventerai mai grande”.
L’eccezionalità, in questo episodio, sta nel forte senso di potere, elevato a fede, mentre gli pronunciavo quelle parole.
Intuito, potere, fede e odio diventarono una sola cosa e lui morì meno di tre anni dopo. Non posso riferire la causa di morte perché fu scritta sui giornali; è sopravvissuto il mio senso di rispetto per i suoi familiari e temo che qualcuno potrebbe capire…
Imparai
(Favola per artisti adulti)
Imparai che una soluzione finale del massimo potere è quella di imporre la morte. Fu l’unica volta in cui ebbi tempo di rivolgere la parola al mio nemico. Poi non lo rividi mai più. Anche lui mi odiava, ma di un odio demenziale, fine a sé stesso e demotivato. Il potere, invece, si innesca su una forte motivazione e la mia era quella di riportare a casa la dignità e l’integrità fisica. Qualcuno mi ricordò l’episodio della sua morte, circa quindici anni dopo, quando un conoscente mi parlò del suo cugino morto in età prematura. Tirò fuori di tasca la pagina di un vecchio giornale con la foto di lui; lo riconobbi a colpo d’occhio. Provai orgoglio e soddisfazione nel ricordare la morte di un bambino, dopo tanto tempo, in età adulta. “Ecco”, pensai. “Questo è l’odio. Questi sono odio, potere, intuito e fede uniti in una cosa sola”. Adesso non devo far altro che nascondere il mio sentimento speciale, rimasto invariato dopo tanti anni. Si dice che il tempo sia un grande toccasana per smorzare le ferite. Ma quando si trasformano in cicatrici, non c’è più niente da fare. Anche il potere è duro a morire, esattamente come l’istinto di sopravvivenza. E’ una fortuna che non mi sia mai più capitato di concepire un odio mortale per qualcuno. Se proprio dovrà succedere, i miei sonni saranno tranquilli, perché l’ambiguo potere veglierà su di me e dentro di me.
L’odio perfetto è quello che non si attenua nel tempo e che rimane sempre uguale a sé stesso.
Disorientamento
(Favola per artisti adulti)
Rimasi disorientato per il contenuto di quella lettura. Mi resi conto che non avevo abbastanza energie per riflettere, forse per i bagordi della sera prima (e della notte).
Dopo aver distolto il pensiero dalla “fenomenologia dell’odio perfetto” mi tornò in mente l’enigma, rimasto irrisolto, della clematide sotto il tergicristallo. Uscii dalla camera per andare in soggiorno e trovai Tito che stava dormendo, nel divano letto, con una ragazza tutta riccioli. Mi avvicinai un po’ di più e vidi che era Marta. Pensai soltanto: “vaffanculo Tito. Sei stato premuroso nell’aiutarmi a sbarcarla definitivamente. Comunque ha funzionato. Puoi tenertela. Anche per sempre, se vuoi.”
Uscii immediatamente per fare una passeggiata. La mia casa si trova su una fascia di terra e rocce, tra la pista ciclabile e il mare. Non mi allontanai molto, ma rimasi fuori abbastanza a lungo per sperare di non trovare più nessuno al rientro. Il mio senso del tempo è invidiabile. Quando tornai trovai tutto a posto, come se nulla fosse stato: cucina e soggiorno perfetti. Non un bicchiere sporco. Tutto mi sembrò stranamente surreale, al confine del sogno. Mentre ispezionavo la casa, tenevo ancora in mano il taccuino dell’artista, che avevo portato a passeggio con me.
Messaggio nel frigorifero
(Favola per artisti adulti)
A metà pomeriggio mi preparai uno spuntino. Aprii il frigo e trovai un biglietto sul vassoio delle tartine avanzate. C’era scritto:
Se te la sei presa, per la faccenda di Marta, sei un babbione. Ti avevo creduto quando mi avevi detto di volertene liberare. La prossima volta che mi mandi affanculo, mentre faccio finta di dormire, fallo solo col pensiero, senza bisbigliarmelo. Grazie per la festa.
Tito
P. S. Secondo me ti sei innamorato di un’altra
Mi chiesi come mai mi avesse fatto trovare il messaggio nel frigorifero, ma l’avrei capito più tardi. Meccanicamente, mentre facevo merenda, riaprii il taccuino di Ellebi e ritrovai la pagina del suo autoritratto. Continuai ad osservarlo fino a merenda ultimata, dopo un po’ di tartine e una birra.
Considerando che sono piuttosto lento a mangiare, posso dire che imparai a memoria ogni dettaglio del suo viso e che ormai sarei stato in grado di riconoscerla ovunque, con qualunque tipo di trucco o di pettinatura.
Suonò il cellulare
(Favola per artisti adulti)
Suonò il cellulare col Carmina Burana di Carl Orff, e risposi il più tardi possibile, per ascoltare quella musica che adoro e che ha il potere di farmi sentire forte, qualunque sia il tipo di comunicazione in arrivo. Era Tito, che iniziò la nostra breve conversazione:
“Allora?”
“Allora cosa?”
“Spero che non te la sia presa a male…”
“Tutto sommato direi di no, anche se ti sei dato da fare subito, senza lasciarmi il tempo di riflettere…”
“Tu, a riflettere, sei lento come a mangiare. Sei sicuro che non te ne importi?”
“Assolutamente”
“Le voglio bene”
“Me lo immagino…”
“E’ anche molto bella”
“Si, molto” gli risposi, continuando ad osservare l’autoritratto di Ellebi.
“Ci sarai, questa sera, al bar di corso Mombello? Verrà tutta la compagnia”
“Corso Mombello, hai detto? Perché no?”
“Allora ci si vede alle diciannove”
“Alle diciannove”, ripetei, e chiusi il cellulare.
Ero convinto che Ellebi avesse molto a che fare col palazzo dei titani, in corso Mombello, proprio di fronte al bar.
Alle diciannove
(Favola per artisti adulti)
Come da programma, ci incontrammo tutti al solito “Charleston”. Marta non c’era, Tito era nervoso ed io ci godevo: mi sentivo in uno stato di benessere completo, euforico nella giusta misura: quella che mi fa sentire come uno che può ottenere tutto ciò che vuole e sappiamo tutti che volere è potere e che potere è volere. Ma solo io sapevo di volere Ellebi. La mia euforia era forse dettata da un presentimento? Il fatto è che ormai avevo acquisito quella splendida abilità di osservare per bene negli occhi gli amici con cui parlavo, controllando contemporaneamente il portone del palazzo coi titani, senza farmene accorgere e senza che qualcuno recepisse la minima distrazione. Splendida abilità appunto, perché dopo pochi minuti vidi uscire Ellebi. Ero sicuro che fosse lei, anche se abbastanza lontana. Si stava dirigendo verso via Matteotti. Tirai fuori di tasca il cellulare, facendo finta di aver ricevuto un messaggio, mi scusai velocemente con gli amici e dissi che sarei tornato prestissimo.
Non volevo che vedessero dove sarei andato
(Favola per artisti adulti)
Non volevo che vedessero dove sarei andato, perciò mi diressi verso il mare e, appena fuori vista, girai a destra, risalii la prima parallela di corso Mombello, feci una bella corsa e mi ritrovai in via Matteotti. Ripresi un andamento un po’ più dignitoso e mi guardai bene intorno. La vidi entrare in un bancomat. Aspettai fuori, sbirciandola, ma non troppo, attraverso la porta a vetri. Decisi di entrare mentre lei stava per uscire. In quell’attimo ci sfiorammo, le sorrisi, mi guardò bene negli occhi e ricambiò il sorriso. La vidi allontanarsi. Il suo sguardo si voltò indietro, solo l’attimo che le bastò per constatare che la stavo ancora osservando. Solo l’attimo che le bastò per rendermi felice. Oltre la porta a vetri, un leggero profumo di “Joy Jean Patou” fece compagnia alla mia inutile operazione di sportello bancario: cliccai “informazioni” e vidi scorrere tutte le entrate di denaro che il suo quaderno , nel frattempo, mi aveva fruttato, ispirando il mio lavoro.
“Non posso restituirglielo”, pensai, sentendomi bastardo dentro, nel più profondo dell’animo.
Tutto bene?
(Favola per artisti adulti)
Tornai subito al Charleston.
“Tutto bene?”, mi dissero gli amici.
“Tutto bene”, risposi, mentre Tito stava già scandagliando la felicità nel profondo dei miei occhi.
“Dov’è Marta?”, mi chiese su due piedi.
“L’ultima volta l’ho vista questa mattina, a letto con te, in casa mia”.
“Avrebbe dovuto essere qui già da un pezzo”.
Mi piaceva vedere Tito in difficoltà. Comunque lo consolai, nei limiti delle mie possibilità.
Mi ricordò che si può essere gelosi anche di una persona che non si ama e che si può desiderare una donna solo perché il proprio amico ha incominciato a desiderarla per primo.
Gli chiesi se stesse parlando di me o di sé stesso.
Comunque non rispose.
“Tito, perché mi hai lasciato il messaggio nel frigorifero?”
A questa domanda, invece, decise di rispondere:
“Perché non volevo che Marta lo vedesse:”
“Non lo sai che apre spesso i frigoriferi?”
“Ha vomitato almeno tre volte prima di uscire da casa: sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe aperto. Era troppo impegnata ad aprire la tavoletta del water.”
Perché proprio adesso?
(Favola per artisti adulti)
In quel momento suonò il mio cellulare, col solito “Carmina Burana”. Risposi immediatamente. Era di nuovo Massimo, il misterioso cliente che mi chiedeva di tornare ancora nel Veneto. Si affrettò a dirmi che ogni spesa di viaggio e di soggiorno sarebbe stata a suo carico. Ci dilungammo molto a parlare e Tito, nel frattempo, “friggeva” perché voleva che lo aiutassi a rintracciare Marta. Cercò di rilassarsi almeno un pochino, perché aveva un rispetto reverenziale nei confronti delle telefonate di lavoro.
Massimo voleva qualcosa di cui mi avrebbe accennato la mattina dopo, poco prima della partenza. Ci salutammo e potei chiudere il cellulare.
Ero un po’ giù di corda: dovevo rinviare l’incontro con Ellebi.
“Ma perché proprio adesso? Perché proprio ora che sono a un passo dal conoscerla? Mi ha guardato e mi ha sorriso. Si è voltata indietro. Sono sicuro che non le dispiacerebbe conoscermi. Aspetta solo che io mi muova. Aspetta solo una circostanza qualunque. Io, invece, voglio scegliere dove, come e quando incontrarla”.
“Pensavo a tutto questo tra un sorso e l’altro, tra la prima e la seconda portata, tra il secondo e il dessert, tra il dessert e il caffè, tra il caffè e la passeggiata, tra la passeggiata e l’invito, per tutta la compagnia, a casa di Siro, il più sanremasco di tutti: quello che sapeva cucinare alla perfezione il coniglio alla ligure, il pesto alla genovese utilizzando il mortaio e il pestello di bosso, quello che sapeva fare una grappa troppo perfetta e il limoncello come nessun altro avrebbe mai potuto. Quello che di donne se ne intendeva più di tutti, ma che non avrebbe mai dato un buon consiglio a nessuno.
Nemmeno a Tito.
Ero tanto felice da sentirmi quasi al livello del paradiso dantesco.
Ero quasi all’incontro con Beatrice.
La mattina dopo
(Favola per artisti adulti)
Arrivò la telefonata quando ormai ero pronto per uscire senza nemmeno sapere ancora dove andare:
“Penso che lei sia già pronto”
“Certo, come accordato. Aspetto solo di sapere dove devo andare.”
“Questa volta ci vediamo a Castelfranco Veneto, davanti alla pala di Giorgione.”
“Si può ammirarla solo da una discreta distanza, attraverso un cancello di ferro, per motivi che certamente capirà…”
“Ci incontreremo oltre il cancello.”
“Sta scherzando?”
“Lei non può immaginare quanti cancelli e quante porte posso aprire. E se le dico “oltre il cancello”, stia sicuro che potrà vedere la pala da molto vicino.”
“A che ora?”
“Al più presto.”
“Va bene. Arrivederci a questa sera.”
Ovviamente
(Favola per artisti adulti)
Ovviamente tutto andò come lui avrebbe voluto e ci trovammo al di là del cancello, ad ammirare la pala di Giorgione, decisamente fuori orario visite.
Anch’io, come lui, non staccavo gli occhi dal dipinto e sapevamo di darci fastidio a vicenda se uno di noi apriva bocca. Così rimanemmo in silenzio, per un lungo tempo, in cui usammo solo uno dei cinque sensi e trascurammo tutti gli altri. Quando fu ora di parlare lo fece lui per primo:
“La prossima volta, finalmente, ci potremo incontrare a Sanremo.”
“Allora, questa volta, potrò ospitarla io, a casa mia, per tutto il tempo che le sarà necessario.”
“La ringrazio, ma ho già una casa dove vivo alcuni mesi all’anno”.
Mentre parlava, i miei sguardi passavano dal volto di San Liberale a quello di San Francesco. Mi sentivo ipnotizzato e come risucchiato all’interno del dipinto. Lui, nel frattempo, continuava a parlare: “Vivo in un appartamento al numero tredici di corso Mombello, nel palazzo coi titani.” Trasalii, ma non perché qualcuno iniziò a suonare, con l’organo, la toccata e fuga in re minore di Bach, proprio in quell’esatto momento.
Allora il mio sguardo si spostò molto più in alto e si fermò sul volto della vergine in trono, fra i due santi.
Contemporaneamente inspirai a pieni polmoni e trattenni a lungo il fiato, prima di espirare lentamente, piano piano, senza far rumore, sentendo i battiti del mio cuore anche nelle orecchie.
Attento!
(Favola per artisti adulti)
“Perché sei così inaccessibile?” pensai, osservando il trono della Vergine, per me troppo elevato da terra: “Ecco l’ora del tramonto: quella che addolcisce tutti i colori prima del buio e che rende ancora più affascinante la notte e la fa pregustare prima di viverla. Ecco i tuoi occhi che sprofondano dentro i miei, mentre mi guardi dall’alto e mi fai sentire figlio tuo, come quello che tieni in grembo, con una sola mano, perché l’altra è pronta e libera di allungarsi per una carezza a tutti gli altri figli tuoi. Non sono mai stato religioso perché sentire l’arte è come sentire Dio, e parlare con l’arte è come parlare con Dio. Con l’arte si parla attraverso gli occhi e con Dio attraverso la preghiera. Ma quando guardo te, Vergine in trono, non ho più nulla da chiedere, perciò non ho bisogno di pregare. Perché pregare è chiedere. L’arte è creativa come Dio è creatore: che differenza vuoi che passi? I tuoi occhi guardano verso il basso e li sento dentro i miei. Recepisco uno sguardo esortativo che vuol dirmi “Attento!”. Starò attento, se è questo che mi chiedi, perché credo nell’arte e in tutto ciò che mi dice. Ma cosa dovrei temere? Gli affari vanno a gonfie vele, non mi manca nulla, gestisco il tempo libero come mi piace, le donne non si fanno desiderare troppo a lungo prima di cadermi nel letto e per di più sono innamorato.
Innamorato di lei al punto da rimanere felice anche se mi rifiutasse, al punto da raggiungere uno stato d’animo inattaccabile, al punto che essere ricambiato non sarebbe nemmeno indispensabile.”
Riabbassai lo sguardo.
La tappezzeria
(Favola per artisti adulti)
Osservai il tappeto ai piedi della Vergine. Intanto i capricci del mio cliente si stavano facendo avanti e così mi bisbigliò quasi all’orecchio:
“Voglio una tappezzeria con gli stessi motivi di quel tappeto. La voglio per il mio studio. Lei dovrà rilevare quei motivi, dovrà realizzare gli stessi colori, dovrà intuirne gli sviluppi geometrici nelle zone dove il tappeto appare ripiegato e dove rimangono nascosti dai drappeggi del panno rosso.”
“Voglio” e “ottengo”: questi erano i verbi di cui faceva largo uso eppure, nonostante tutto, pareva mantenere un indefinibile distacco da ogni cosa del mondo.
Trascorse una settimana prima di terminare il progetto della tappezzeria e di tornare a Sanremo.
Due settimane dopo il mio ritorno, potei vedere l’applicazione pratica, invitato nel suo studio al palazzo coi titani.
A Sanremo
(Favola per artisti adulti)
Andai all’appuntamento. Arrivai al palazzo coi titani. Entrai in ascensore e non so perché contai di nuovo i cinquantacinque secondi necessari ad arrivare all’ultimo piano. Suonai alla porta e mi aprì dopo un bel po’. Percorsi uno splendido corridoio in marmo, fatto a mosaico. Mi aprì una porta con decorazioni pittoriche ed entrai nel suo studio, ben fornito di oggetti di antiquariato. Mi guardai intorno e vidi la tappezzeria verde ispirata al tappeto della Vergine di Castelfranco. L’effetto di insieme era andato oltre la mia immaginazione. I colori dell’arredamento e addirittura degli oggetti antichi, creavano equilibri ed armonie perfetti con le pareti. I colori della tappezzeria erano fedelissimi agli originali. Il padrone di casa mi lesse nel pensiero, e disse che poteva ottenere anche l’impossibile, quando necessario. Notai che ricalcò le due ultime parole. Parlammo a lungo del nostro lavoro, soprattutto del mio, visto che lui si occupava di tutto ciò che riteneva interessante… e visto che il mio concetto di lavoro è piuttosto diverso dal suo. Era troppo evidente che, col suo potere economico, poteva abbattere tutti i confini fra il lavoro, gli interessi, i passatempi, i capricci, la gestione dei propri averi. Poi si alzò dalla poltrona, aprì la porta dello studio, e si affacciò in corridoio, chiamando Marianti. Le chiese se avrebbe potuto bere con noi un thè speciale.
Marianti entrò nella stanza
(Favola per artisti adulti)
Più tardi Marianti entrò nella stanza e Massimo mi presentò sua figlia. Rimasi a guardarla negli occhi un po’ troppo intensamente e per un periodo decisamente troppo lungo. Ellebi era sorridente ed io, ormai, ero preparato alle sorprese: anche alle migliori. Restò con noi una mezz’oretta, a conversare e a bere il thè, fatto coi semi di cumino e con la menta. Il mio cliente era troppo sveglio per non accorgersi che mi piaceva sua figlia. Appena Marianti se ne andò, lui si affrettò a dirmi: “E’ un’artista…è inevitabilmente libera…sfortunato l’uomo che si innamora di lei, pensando di tenerla per sempre.” Parlò con un tono di voce basso e malinconico. Poi aggiunse: “non sono un padre del tutto spensierato.”
Cosa c’è di male?
(Favola per artisti adulti)
“Cosa c’è di male nell’essere artisti e liberi?”, gli risposi.
“Nulla. Il problema è che sono liberi anche quando non lo sembrano. Omettono ciò che dovrebbero dire e questo è molto più dannoso che essere bugiardi. E’ molto più pericoloso. A volte hanno un codice di comportamento e dei valori piuttosto diversi da quelli comuni.”
Mi era parso che credesse veramente a ciò che diceva, anche se ogni tanto parlava sorridendo. Lo guardai bene in faccia e mi esplose nella mente, all’improvviso, l’espressione della Vergine di Castelfranco. “E’ molto bella”, gli dissi.
“La bellezza richiede forza di carattere e va gestita con competenza.”
“Lei dubita del carattere e della competenza di sua figlia?”
“Dubito solo della competenza: Marianti non gestisce a dovere la propria bellezza.
Non diedi peso alle sue frasi perché parlava sorridendo. La mia felicità di quel giorno fu indescrivibile. Non solo avevo conosciuto Ellebi, ma sapevo che avrei potuto disporre con facilità di nuovi incontri…e poi sapevo che era libera. In ogni caso libera: l’aveva detto lui. Ero sicuro di piacerle. Quando si pensa di piacere a qualcuno, non si sbaglia mai. E’ troppo difficile sbagliare in certe cose.
Cominciai a frequentare la casa di Marianti abbastanza puntualmente, per motivi di lavoro che erano diventati anche un pretesto per vederla. Un pomeriggio, in presenza di suo padre, la invitai ad uscire con me. Lui mi guardò con una strana espressione, quasi di compatimento, in stile “te l’avevo detto…” e intanto puntualizzai a me stesso: “non ho mai pensato di tenerla per sempre.”
Uscii con Marianti
(Favola per artisti adulti)
Poco dopo uscii di casa con Marianti ed entrammo in ascensore. Premette il tasto per il piano terra e il nostro bacio iniziò in quel momento. Arrivati giù, comandò un altro giretto per il quinto piano. Tornati in cima, fui io a premere il tasto PT. Nel nostro bacio non ci furono interruzioni. “Come tempo non è male, ma potrebbe esserci di meglio” pensai, facendomi tornare alla mente quello strano appunto che avevo letto poco tempo prima nel suo taccuino. Avrebbe potuto esserci di meglio se qualcuno, spazientito, non avesse incominciato a battere i pugni contro la porta dell’ascensore, in qualche piano intermedio.
Il passeriforme stazionario uscì con la sua preda, dopo aver scoperto cosa fare con cinquantacinque secondi a disposizione in un ascensore, tanto meglio se moltiplicati per tre.
Incominciai a frequentare un po’ meno tutti gli amici, ma senza trascurarli troppo. Tutti volevano bene a Marianti. Era amabile e la compagnia femminile provava tantissima simpatia per lei, appoggiando ogni sua proposta sul da farsi nel tempo libero da trascorrere tutti insieme. Solo Tito mi pareva un po strano perché ogni tanto coglievo sul suo viso un’espressione come di complicità quando la guardava. Sembrava uno sguardo di intesa, ma lei non lo raccoglieva quasi mai. La mia gelosia mi faceva pensare che ne fosse innamorato…e che prima o poi ci avrebbe provato.
Una sera
(Favola per artisti adulti)
cogliendolo con quell’espressione che non mi piaceva affatto, ripensai ad un disegno che Marianti aveva tratto dal dipinto di Tiziano “Il marito geloso che uccide la moglie” e ad alcuni appunti, il tutto contenuto nel mio taccuino segreto.
Eccoli qui di seguito:
A seconda dell’epoca in cui si vive, la gelosia diventa un sentimento che assume valori, pesi, sfumature, toni, colori e contrasti diversi: sono certa di amare soltanto quelli di Tiziano, nel “Miracolo della donna ferita”: l’interpretazione più elevata che io conosca, di un sentimento considerato empio e basso nel mio tempo, con pesi e sfumature più o meno ambigui a seconda che la persona gelosa sia maschio o femmina, a seconda delle motivazioni e delle conseguenze. Nel mio tempo è imperdonabile voler possedere un essere umano. Nel mio tempo di consumismo e di valore della proprietà, voler possedere un essere umano equivale al peccato originale, secondo il quale si possono possedere tutti i frutti della terra, tranne uno…perché essere gelosi significa voler essere esclusivi proprietari dell’altro. Tanto per sottolineare quanto è complesso il mio tempo, si può aggiungere che, se non sei geloso per niente, vieni preso per un sempliciotto o per un pervertito.
Il pomeriggio del giorno dopo…
(Favola per artisti adulti)
….lo incontrai mentre scendeva le scale, nel palazzo dei titani. Ero appena entrato nell’androne. Rimasi molto sorpreso nel vederlo. Era piuttosto nervoso e mi parlò quasi urlando.
“Vai da lei?”
“Si”, gli risposi, con un fil di voce, preoccupato di vederlo lì.
“L’ho conosciuta prima di te e mi ama.”
Fu quasi patetico e ridicolo, per ciò che diceva, per il modo di esprimersi, per le espressioni che assumeva e per la gestualità un po’ teatrale.
“Ti ama come Marta che è sparita nel nulla senza neanche salutarti?” gli chiesi malvagiamente.
“Pensa piuttosto a restituire il quaderno!”, mi urlò lui, serbandomi una malvagità ben superiore. Rimasi costernato e confuso. Riuscii a dirgli: “di quale quaderno stai parlando?” Alzò la voce più forte e diventò paonazzo rispondendomi: “quello che hai trovato al Cafè Latino, idiota!”
“Cosa ne sai, tu, del quaderno?”
“E’ di Marianti, e glielo devi restituire!” A questo punto andò fuori di testa. Mi prese per il bavero della giacca e mi strattonò, sbattendomi contro la specchiera alle mie spalle. Istintivamente, gli tirai un colpo sotto il mento, col palmo della mano aperta. La sua testa si sbilanciò all’indietro, ma non mollò la presa della mia giacca. Tutti e due andammo a finire contro la specchiera di fronte. Vidi una cascata di vetri scendere a terra, con un fragore che sembrò un’esplosione e che mi fece male più delle ferite. La nostra lotta continuò ancora per poco, perché Marianti comparve in cima alla prima rampa di scale, guardandoci atterrita.
Si spense la nostra lotta
(Favola per artisti adulti)
Si spense la nostra lotta e Tito le urlò: “diglielo, Marianti, che deve restituirti il taccuino!” La fissai e lessi sul suo volto paura e disprezzo, mentre lo guardava, rispondendogli semplicemente di andarsene, come se parlasse a un cane abituato a obbedire. Non aggiunse altro e si ritrasse un pochino, mentre la guardavo, aspettando che mi chiarisse qualcosa. Ma non disse nulla e iniziò la sua corsa, su per le scale, per tornare in casa. Non le andai dietro. Tito uscì immediatamente dal portone, con qualche lieve ferita. A me andò un pochino peggio, ma mi considerai ugualmente “miracolato”.
Il padre di Marianti, quello che poteva aprire tante porte quante io non potevo immaginare, si fece aprire immediatamente quella del vetraio di quartiere, che provvide a fare le fedeli sostituzioni e a cancellare ogni traccia dell’accaduto.
Tre giorni dopo
(Favola per artisti adulti)
Dopo le medicazioni rimasi in casa, senza uscire per tre giorni. Anche il terzo giorno aspettavo che tutto si risolvesse da solo. Intuii che non dovevo fare niente. Nemmeno una telefonata a Marianti, che nel frattempo non si era fatta viva. Senza sapere perché, pensai che il primo a muoversi sarebbe stato Tito. Infatti venne a cercarmi decisamente prima del previsto, cioè subito. Perché, invece, non era venuta lei? Non sapevo se aprire la porta: ero combattuto tra il bisogno di starmene in pace e la voglia di capire cosa stesse succedendo. Ma il rumore del battente era troppo forte e continuo. Alla fine aprii. Rimasi sorpreso per l’espressione da cane bastonato che non avevo mai visto prima sul volto del mio ex amico. Senza farlo entrare in casa, lo lasciai parlare, sulla soglia, fino al termine del suo discorso, che non interruppi mai. Quando finì di svuotare il sacco, mi sentii bastonato più di lui. Al dolore fisico se n’era aggiunto uno ben peggiore, una delusione profonda, uno stato d’animo surreale che aveva fatto largo, poco dopo, ad una rabbia da lupi. Anche quando finì di parlare non dissi nulla. Subito dopo se ne andò e richiusi la porta. Non ci salutammo.
Appena riuscii a calmarmi crollai a dormire di un sonno profondo, fortunatamente senza sogni, perché anche quelli avrebbero potuto disturbarmi.
Le idee chiare
(Favola per artisti adulti)
Mi svegliai due ore dopo, alle diciassette, con la mente più riposata e con le idee chiare sul da farsi. Contattai la mia agenzia turistica preferita. Preparai velocemente una valigia e riuscii, entro la mattina dopo, a partire per l’isola di San Pietro, a sud ovest della Sardegna. Non era certamente una stagione turistica e il clima non era dei migliori, nel mese di novembre, ma speravo proprio nel maestrale, il vento più generoso che avrei potuto trovare, una volta arrivato a destinazione.
Volevo vivere per un po’ di tempo in un faro. Sicuramente avrei trovato tranquillità e solitudine quanto basta per portare avanti alcuni progetti di lavoro che mi interessavano molto. Per chiunque sarebbe stato improbabile trovarmi e raggiungermi. Scelsi il faro di Capo Sandalo, nel promontorio roccioso più a ovest dell’isola. Riuscii ad arrangiarmi in uno dei tre appartamenti che una volta erano occupati dalle famiglie dei manutentori, ormai non più necessarie ad un faro automatizzato. La lanterna conforta i naviganti fino a ventotto miglia di distanza, ma io sognavo che si spegnesse.
Cercavo di non pensare troppo a Marianti e lì ci sarei forse riuscito, visto tutto il da fare necessario, anche solo per rendere di nuovo abitabile l’appartamento che mi era stato offerto. Dopo tutto quello che Tito mi aveva confessato, amavo e disprezzavo Marianti, pensando di doverla ormai solo odiare: perché a volte odiare diventa una questione di dignità…anche questo me l’aveva insegnato lei, alla pagina dell’odio perfetto.
La dignità bisogna sempre riportarla a casa
(Favola perartisti adulti)
Si sa che si può perdere un amore, ma la dignità bisogna sempre riportarla a casa, ad ogni costo. Oltretutto, solo a questa condizione si può sperare che ritorni ciò che si è perso. “Ma io non ho perso nulla”, pensai. Anche suo padre non si era fatto più vivo. Mi doveva del denaro, “ma io sono un buon esattore e, prima o poi, mi faccio sempre pagare”: dopo aver formulato questo pensiero a voce alta, mi venne in mente, all’improvviso, la scena di un western di Sergio Leone, in cui Lee Van Cleef aveva recitato più o meno la stessa frase. Trascorrevo le giornate lavorando molto, ed ogni notte era uno spettacolo da non perdere, con le onde che si infrangevano ai piedi del mio faro, contro il promontorio. Trovavo anche molto tempo per parlare da solo, a voce alta, traendone una maggiore capacità di riflessione e di concentrazione. La mia autostima si stava rinvigorendo e avevo fede nella capacità di reagire ai colpi della malasorte. Mentre mi davo da fare per rinvigorire lo stato d’animo, Marianti, lontana molte miglia, si stava dando da fare per rinvigorire la carriera. Temevo che si facesse viva e non sempre mi sentivo al sicuro: non mi avrebbe trovato facilmente nell’isola di San Pietro…non è appariscente sulle carte geografiche e nelle vetrine delle agenzie turistiche. Nel nostro ultimo incontro, Tito mi aveva riferito che Marianti sarebbe partita per Toronto e che presto sarebbe tornata. Strano che non avesse reclamato il suo quaderno, che avevo sempre con me.
Università di Toronto
(Favola per artisti adulti)
Dipartimento sviluppo umano e psicologia cognitiva applicata.
Marianti entrò di corsa e posò frettolosamente un plico piuttosto spesso su una scrivania, in una delle sezioni preposte all’attività di ricerca scientifica. Aveva portato a termine un lavoro che aveva a che fare con la ricerca sui condizionamenti e sull’autodeterminazione delle scelte, delle idee e delle decisioni. Sul fronte del plico c’era scritto un appunto a matita:
Francesco Urru, nato a Villasimius, Sardegna, Italia, il 18 Aprile 1985.
Francesco Urru sono io
(Favola per artisti adulti)
Francesco Urru sono io.
Altrettanto frettolosamente prese una gomma e cancellò quei dati.
Il plico conteneva anche una copia, quasi integrale, del taccuino che lei, d’accordo con Tito, mi aveva fatto trovare sotto il tavolo del Cafè latino… menomale che avrebbe dovuto essere il mio bar segreto…In un altro malloppo di fogli erano stati riportati i miei spostamenti, le mie scelte, gli incontri con lei e con suo padre, molte opinioni che avevo espresso, alcune battute che avevo fatto, soprattutto in conseguenza di ciò che avevo letto nel “quaderno-tesoro segreto”. In quel plico era contenuta ogni analisi puntigliosa, ed ogni osservazione era stata opportunamente pesata, come si fa col bilancino dell’orefice: resoconti dettagliati che avevano strettamente a che fare coi condizionamenti dovuti non solo alle letture, ma anche ai disegni. In poche, tristi parole, Marianti mi aveva usato, così come aveva usato Tito, sebbene con lui non avesse avuto bisogno di simulare un innamoramento, come invece aveva fatto con me. Lo convinse semplicemente a diventare suo complice e aiutante. Tito era stato adescato in una fase di difficoltà economica e l’esca che Marianti aveva preparato per lui, gli appariva significativa, anzi, indispensabile. Il mio amico si trasformò in un traditore col conto corrente bancario più rassicurante, e con la coscienza alleggerita dall’idea di dover svolgere alcune mansioni apparentemente innocue e poco significative. In fondo, cosa doveva fare per tali cifre? Doveva gettare sotto un tavolo il taccuino che avrei dovuto trovare…e avrebbe dovuto prestarmi alcune attenzioni…avrebbe dovuto marcarmi stretto, finché sarebbe stato necessario.
Il suo innamoramento per Marianti non era stato da lei preventivato.
Anche il demonio sbaglia
(Favola per artisti adulti)
Anche il demonio sbaglia: il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.
Trascorsero alcune settimane, col maestrale che si faceva sentire, con gli odori del rosmarino, del timo, della lavanda, della salvia e della salsedine, che riempivano l’aria.
Ogni tanto andavo a Carloforte, dove potevo incontrare gli amici di vecchia data, che sapevano di non dovermi venire a trovare nel faro: non volevo assolutamente. Erano in grado di capirmi anche se, inizialmente, avevo dato poche spiegazioni sulla motivazione della mia presenza in quell’isola. Fra noi c’era una sorta di legame telepatico, dovuto ai tanti anni trascorsi insieme, prima del mio trasferimento a Sanremo. Fin dall’infanzia avevamo vissuto le emozioni e le esperienze più significative della nostra esistenza.
Tutto scorreva liscio
(Favola per artisti adulti)
Tutto scorreva liscio…finché una sera, all’imbrunire, mentre stavo disegnando alcune bozze di lavoro, sentii uno scorrere di catene e il tonfo di un’ancora. Mi alzai subito e mi affacciai alla finestra ma, non riuscendo a vedere nulla, feci di corsa le scale che portavano alla lanterna. Da un centinaio di gradini più in alto, vidi un’imbarcazione da diporto, nella caletta vicina. Le vele erano malconce e pareva che avessero avuto qualche brutta storia col maestrale che l’aveva fatta da padrone fino a poche ore prima. Presi il binocolo, aspettando di vedere l’equipaggio uscire fuori dalla barca, ma non uscì nessuno. Ridiscesi le scale di corsa e andai fuori. Incominciai ad avvicinarmi alla caletta dove ormai la barca, bene ancorata, non si muoveva più. Il fiocco era stracciato e la randa, già ridotta al minimo, ormai era stata riavvolta automaticamente. Era uno Jeanneau di undici metri, con una capotta malconcia quasi quanto il fiocco. Tornai indietro, tranquillizzato, pensando che nessuno avesse bisogno di me. Perché mai avrebbero dovuto ancorare a ovest dell’isola? A Carloforte c’è un porto più riparato e ben più accogliente di quella insenatura. Appena rientrato continuai a lavorare sulle bozze, ma la concentrazione, ormai, era stata indebolita dalla diffidenza: mi era tornato in mente che, poche ore prima, avevo visto un’imbarcazione bianca, lontana, provenire da nord. Forse era la stessa. Dei turisti qualunque non farebbero mai una cosa del genere: non qui, non in questa stagione, non con questo clima. Chi avrebbe mai tracciato una rotta da nord per rischiare di arrivare al buio?
Più tardi
(Favola per artisti adulti)
Sentii un rumore provenire dalla scala di pietra che si arrampica fra le rocce, fino al faro. Mi affacciai dall’ingresso: non mi sbagliavo.
Andai avanti di qualche passo, per poter vedere meglio più giù, verso le onde. C’era qualcuno che stava salendo, con passo stanco. La figura si avvicinò e potei vederla meglio: Marianti, fradicia, mi era parsa quasi come un’onda fra le altre, ancor più bella di come ero abituato a vederla, ancor più pericolosa di come la conoscevo prima.
“Tu non sai che io so”, pensai, ascoltando la voglia di vendicarmi. Quando mi raggiunse, le domandai: “tuo padre ti ha aperto anche la porta della mia agenzia turistica?” Lei non aprì bocca. Stanchissima, entrò nel faro senza chiedermi il permesso, si guardò intorno, entrò nello studio, poi in cucina, infine in camera e si coricò nel mio letto senza dire niente. Si addormentò immediatamente di un sonno profondo.
Rimasi come un imbecille
(Favola per artisti adulti)
Rimasi come un imbecille a guardarla ancora per un po’ e dopo tornai al mio lavoro, deconcentrato più che mai. Più tardi cenai, con una fame da lupi. Ma anche per me venne l’ora di andare a dormire, nell’unico letto del mio appartamento. Le sfilai i pantaloni troppo bagnati e lei, naturalmente, non si svegliò. Le stesi una coperta in più e mi coricai anch’io. Spensi la luce e dormii per poco, perché l’ora della vendetta mi svegliò puntuale. Mi soffermai qualche minuto a guardare il suo viso illuminato dalla luna, troppo perfettamente inquadrata nel bel mezzo di una finestrella. Poi mi alzai, raccolsi tutti gli appunti di lavoro, alcuni vestiti, il portafogli coi documenti: la borsa fu pronta in un attimo. Prelevai dalla sacca di Marianti due piccole chiavi unite da un portachiavi galleggiante. Arrivai subito alla caletta vicina e utilizzai il gommone che lei aveva lasciato a riva. Raggiunsi la sua barca remando, scivolando nel buio della notte e nella luce della luna.
Lasciai Marianti sola
(Favola per artisti adulti)
Lasciai Marianti sola, nel faro di Capo Sandalo. Godevo al pensiero del suo risveglio: non mi avrebbe più trovato vicino a lei, non avrebbe più contato sulla complicità di Tito e non avrebbe più potuto farsi aprire la prossima porta da suo padre. Stavo quasi bene, quella notte, con un vento ormai talmente comprensivo da lasciarmi proseguire a vela, fino a Porto Ponte Romano, dove i “lupi” mi stavano aspettando. I “lupi” erano i miei stessi amici di Carloforte, che amavano il mare quanto me, ma erano molto più esperti nella vela. Quando arrivai faceva ancora buio. Gli amici salirono immediatamente a bordo. Ripartimmo subito, ululando in coro, nel silenzio della notte e nel rumore delle onde. Ululare era il nostro modo di giocare, di esprimere coesione, aiuto, complicità: tutte quelle cose che Marianti non avrebbe potuto avere, sola nell’isola di San Pietro. Sarei stato con loro, costeggiando per tutto il tempo che avremmo voluto e fermandoci qua e là, ospiti di qualche amico, fra i tanti di tutta la Sardegna.
Ho già detto che il mio senso del tempo è invidiabile: quando sarei tornato al faro avrei trovato tutto a posto, come se nulla fosse stato e lei, stanca di aspettarmi, se ne sarebbe già andata. Tutto mi sarebbe sembrato surreale, al confine del sogno, come al rientro in casa mia, dopo la festa organizzata da Tito…però non avrei portato con me il “tesoro” di Marianti. Glielo avevo restituito, quella stessa notte, lasciandolo sul mio cuscino, accanto a lei, per non andarmene con un ricordo ingombrante.
Trascorsi uno dei periodi più felici della mia vita, sebbene non proprio spensierato.
Grammatica del giudizio
(Favola per artisti adulti)
Ma i veri amici ti aiutano a riflettere e ti fanno delle domande, quando è ora. Devi rendere conto di ciò che offri, soprattutto quando offri troppo…vollero informarsi sulla barca. Iniziarono a chiedermi tutte quelle cose che rappresentavano i tasselli mancanti di ciò che avevo già riferito nei giorni precedenti. Con tutto il garbo di cui sarebbero stati capaci, cioè poco, cominciarono a dirmi che non avevo prelevato le chiavi dalla sacca di Marianti, ma le avevo rubate…
Non avevo utilizzato il gommone, ma l’avevo rubato.
Non avevo raggiunto la barca a vela, ma l’avevo rubata.
Misero ogni verbo giusto al posto giusto. Corressero tutta la grammatica del mio senso del giudizio, della verità, dell’obiettività e della vendetta. Discutemmo a lungo e mi convinsero che la mattina dopo avremmo dovuto tornare indietro per restituire il maltolto lasciandolo da qualche parte…
Appena arrivò la luce del giorno
(Favola perartisti adulti)
Appena arrivò la luce del giorno dopo, salimmo a bordo. Rovistammo nel tavolo da carteggio, controllammo le carte nautiche, i documenti dell’imbarcazione e il libro di bordo…Risultò che Marianti aveva comprato la barca a San Fiorenzo, in Corsica, un paio d’anni prima, pagando una cifra astronomica. Dal libro di bordo risultava che partì da Sanremo, arrivò a Propriano, dove fece una tappa di un giorno. Poco dopo essere ripartita, ancora nella baia di Propriano, fu fermata dalla polizia marittima francese, che fece dei controlli a bordo, facendole aprire tutti gli stipetti e i gavoni. Diede anche una sbirciatina al libro di bordo, raccomandandole di tenerlo sempre aggiornato, dopodiché la convinsero a rientrare in porto, perché il maestrale in arrivo non avrebbe dato la possibilità di una facile navigazione in solitario. Poi le chiesero a cosa potessero servire tutti quei tagliacarte che riempivano il cassetto del tavolo da carteggio. Ce ne saranno stati una quindicina, con le lame molto lunghe. Marianti, riportando l’episodio sul libro di bordo, non trascrisse la risposta che diede alla polizia. Alcune ore più tardi ripartì lo stesso e due giorni dopo ancorò a San Pietro. Non risulta che a bordo ci fosse mai stato un solo componente dell’equipaggio, all’infuori di lei…
Gli amici lessero il libro di bordo
(Favola per artisti adulti)
(Favola per artisti adulti)
Gli amici lessero il libro di bordo, con estremo interesse per ogni dettaglio tecnico di navigazione, esprimendo ammirazione per le sue doti di velista e non facendo altri commenti. Li osservavo bene mentre sfogliavano avidamente quelle pagine… e temevo. “Non vi farete infinocchiare dalle stronzate che scrive?” dissi. Mi ricordarono che stavano sfogliando un libro di bordo e che la mia esperienza in mare avrebbe dovuto insegnarmi che quando navighi non trovi né tempo né spazio per scrivere delle stronzate.
“Non siamo come te: noi non siamo innamorati di lei…” sottolineò “Cobra”, con quella sua lingua biforcuta, che usa sempre come un’arma impropria. Tra le pagine che stava sfogliando trovò una clematide bianca essiccata che fungeva da segnalibro. Me la lanciò dicendomi di prenderla al volo. La guardai pensieroso, mentre l’arma impropria di “Cobra” continuava a colpire: “Ma quanto è grande e capillare la coglionatura che ti sei preso? Non riesco a trovarne i limiti”.
Ecco svelato il mistero della clematide
(Favola per artisti adulti)
“Ecco svelato il mistero della clematide sotto il tergicristallo” pensai.
Così nella mente incominciarono a scorrermi un bel po’ di flash back, molto incalzanti, che comprendevano tutte le premeditazioni di Marianti e di Tito. Mi tornarono in mente le occhiate di complicità che lui le lanciava e che lei, il più delle volte, non raccoglieva…perché diavoli si nasce, ma non ci si diventa e non ci si improvvisa: Tito me l’ha insegnato…Marianti me l’ha dimostrato.
Cobra mi distolse dai flash back e mi versò un bicchiere di fil’e ferru, dandomi qualche pacca sulle spalle e dicendomi: “Non c’è bisogno di scoprire le coglionature tutte insieme: meglio un po’ alla volta; è meno doloroso”.
La sera cenammo in silenzio.
Era il ventitré dicembre e la mattina dopo, molto presto e quando faceva ancora buio, “restituimmo” l’imbarcazione al porto di Carloforte, mettendola al sicuro. Non si passò dalla capitaneria e non si pagò l’ormeggio.
Al faro coi lupi
(Favola per artisti adulti)
Così al faro non tornai solo e non dal mare.
Camminammo per la campagna, tra i familiari profumi di lavanda, rosmarino, salvia, timo, origano ed un aroma intenso a cui non eravamo abituati, insolito fra le nostre erbe. Più avanzavamo e più lo sentivamo forte, nell’aria. Raggiungemmo il limite del giardino che circondava il faro. Una strana ansia ci fece fermare. Rizzammo le orecchie per ascoltare meglio, inspirammo lentamente per annusare meglio. Proprio quando vedemmo del fumo, riconoscemmo il profumo dell’incenso. Con gli occhi del lupo trovammo la “preda”. Rimanemmo immobili e in silenzio a fissarla; stava vicino ad un abete, stranamente ornato con bacche rosse, “bende” sfilacciate da foglie di palma e lunghi fili d’erba legati e appesi ai rami: Marianti, seduta sull’abbeveratoio ai piedi dell’albero, reggeva con la mano sinistra un brucia incensi, il braccio teso verso il cielo, lo sguardo verso l’alto, i capelli rossi mossi dal vento, invasi dai fumi dell’incenso. A fatica i lupi distolsero lo sguardo da lei, per osservarmi un attimo, prima di lasciarmi solo. Scomparvero da dove erano venuti, in silenzio, fra i cespugli del sentiero.
Ma io rimasi lì, a guardarla di nascosto ancora per troppo tempo. La vidi rientrare nel faro e uscirne poco dopo. Cercai di capire cosa stesse facendo, sentendomi un po’ inquieto, e mi chiesi di quale tipo di creatura fossi innamorato.
Danza e lotta
(Favola per artisti adulti)
Riconobbi i tagliacarte in legno d’ulivo, molto simili a quelli che avevamo trovato nel cassetto del tavolo da carteggio, quando cercavamo il libro di bordo. Erano più o meno tutti della stessa misura: circa trenta centimetri di lame, più una specie di manico. Marianti li aveva applicati alle giunture dei polsi, delle ginocchia, dei gomiti, delle caviglie e delle spalle. Sembravano quasi degli arti aggiuntivi e le lame erano rivolte verso l’esterno. Iniziò così una specie di arte marziale che ricordava alcuni Katà, forse più arricchiti di grazia e armonia, più identificabili ad un corpo femminile piuttosto che maschile. Tutto pareva una danza gentile, ma ogni movimento, potenzialmente, avrebbe potuto tradursi in un’aggressione mortale che rende praticamente intoccabili, più che imbattibili. Mi chiesi quanto sarebbe stata complessa una lotta a due, di quel tipo; quanta abilità tecnica e quanta conoscenza potesse richiedere. Quanta capacità di riflessi e quanta concentrazione? Sono sempre stato interessato alle arti marziali. Pensavo di conoscerle tutte, ma ho praticato soltanto il karate shotokan. A quale cultura avrebbe potuto appartenere la lotta di Marianti? Sicuramente non orientale. Pensai ad una cultura troppo lontana nel tempo, forse di origine barbarica…o forse l’aveva inventata lei…ne sarebbe stata capace. Ammirai arte e tecnica, grazia, bellezza, armonia, abbinate all’uso contemporaneo di dodici armi bianche…ammirai le stesse cose che potevo ammirare in un’opera d’arte. La “danza” comprendeva alcune serie di movimenti che poi venivano ripetuti, resi sicuri da una tecnica che mi pareva perfetta, anche se sconosciuta. Marianti ripeteva alcune serie di movimenti, prima lenti e poi sempre più veloci, fino a quando diventava quasi impossibile distinguerli. Cosa sarebbe successo se ne avesse sbagliato uno? Era molto concentrata e temevo di distrarla facendomi vedere.
Raggiunsi Carloforte
(Favola per artisti adulti)
Così, dopo essere rimasto nascosto nel massimo silenzio, me ne andai, ma non prima di aver realizzato un veloce disegno che la rappresentava.
Raggiunsi Carloforte ed entrai in un bar dove sapevo di trovare gli amici che mi avevano lasciato poco prima. Ovviamente rimasero sorpresi nel vedermi e, dopo qualche filu e ferru, riferii dell’accaduto, mostrando il mio disegno, appena copiato dal vero. Ogni volta che parlavo di lei stavano un bel po’ in silenzio prima di fare un commento o di dare una risposta. Saltharu, con tutta la saggezza che gli ispiravano i superalcolici, disse: “Ma sei sicuro di volertene allontanare? E lei perché è ancora lì? Non ha nemmeno denunciato il furto della barca. Ti aspetta e tu hai paura.” Nessuno lo contraddisse e tutti stettero zitti, come chi tace perché acconsente. Quel silenzio mi pesava e non mi faceva comodo che tutti ammirassero o approvassero tutto ciò che faceva Marianti, per come lo faceva e perché lo faceva…
Il risultato
(Favola per artisti adulti)
Il risultato fu che la mattina dopo tornai da lei per dirle di andarsene da casa mia o, più che altro, quella fu la mia intenzione iniziale. Così arrivai al giardino del faro, piano piano, senza far rumore, per spiarla, così come ero abituato a fare dal primo giorno in cui la vidi. Era in giardino, vicino all’albero stranamente addobbato. Stava usando di nuovo ii brucia incensi che avevo progettato per suo padre. Fumi e profumo si spandevano in giro. Lei stava sussurrando una cantilena in latino, di cui riuscii a capire alcune parole: dea, terra, madre, fortuna, creatrice, unica…e qualcos’altro. Pensai che stesse praticando un rito pagano, talmente antico e lontano nel tempo, da dovermene sentire escluso per sempre.
Per me, quello era il giorno di Natale e per lei doveva essere ben altro: comunque qualcosa di paradossalmente distante dal cristianesimo, ma prodigioso nella sua presenza, miracolosamente sopravvissuto alla Storia.
Nei modi di Marianti vedevo contemporaneamente coscienziosità e rigore, dignità e compostezza, serenità, leggerezza e gioco, come se il rito stesso sintetizzasse tutta la verità del mondo: sicuramente per lei doveva essere così.
Una sottile invidia
(Favola per artisti adulti)
Vedendola, mi sentii invadere da una sottile invidia, come se non avessi mai posseduto qualcosa di importante, che mi spettava di diritto e che lei, invece, gestiva con naturalezza. Poi capii: aveva fede in sé stessa. Non che io non ne avessi, ma la sua era una convinzione assoluta, una sicurezza estrema, completamente sganciata da ogni logica, come si addice ad una vera fede. Come se si fosse identificata ad una verità di tipo soprannaturale… come se si ponesse al centro di una grande consapevolezza. Col suo rito pareva rinvigorire e produrre un destino propizio. Una piccola statuetta della dea bendata era accanto a lei. Doveva pur porre qualcosa al di fuori della propria volontà umana. Più che la fortuna cosa poteva essere? Più che un destino propizio cosa poteva essere?
La mia invidia, subito dopo, fu dissolta da una trasfigurazione: così vidi l’amor sacro di Tiziano, mentre Marianti levava il brucia incensi al cielo.
Ecco l’amor sacro
(Favola per artisti adulti)
” Ecco l’amor sacro”, pensai. ” Lei rimane perché sa del mio ritorno, senza conoscere dubbi e solitudine. Forse è quell’amore diverso e tanto raro. Quello a cui non puoi rubare nulla perché ti offrirà sempre ciò di cui hai bisogno. Quello che ti insegna imparando. Quello che non ti chiede spiegazioni perché tutto si chiarisce vivendo.
Riconosco il brucia incensi che non sapevo di aver progettato per te. Tutto di te è sorprendente.
Appena ti hanno vista, i “lupi” hanno fiutato nell’aria l’impossibilità di riconoscerti come una preda.
So che non proverai ancora a rovistare nel mio animo, perché anch’io non lo farò di nuovo con te.
Festeggeremo insieme le nostre feste così diverse, ma che hanno in comune almeno una data.”
Quel Natale Marianti mi regalò il taccuino che le avevo restituito, e il giorno dopo se ne andò, offrendomi nuovamente la possibilità di stare da solo. Non mi chiese niente e non cercò conferme perché non ne aveva bisogno. Volere e avere, per lei, sono sempre stati una cosa sola. Ad una condizione, però: quella di amare.
Da cento gradini più in alto, la vidi ripartire dalla caletta ai pedi del faro, con la barca che ormai aveva già recuperato dal porto di Carloforte. Lei non temeva il maestrale…non provai nemmeno a trattenerla perché sapevo che sarebbe stato inutile.
Rimasto solo
(Favola per artisti adulti)
Rimasto solo, lessi ciò che Marianti aveva continuato a scrivere, sul quaderno-tesoro segreto, durante la mia assenza.
All’ultima pagina c’era scritto che anche Marta era stata complice di Marianti, anzi sua collega di ricerche e di studi. E seppi anche che tornò con Tito.
Tirai un sospiro di sollievo.
Anche se poco tempo dopo riprendemmo tutti a frequentarci, a Sanremo, nessuno di noi parlò mai più di ciò che era accaduto.
Circa un mese dopo venni a sapere da Marianti che i “lupi”, durante la sua traversata, l’avevano seguita fino a poche miglia dal porto di Sanremo, per poi invertire la rotta e tornare indietro…
… non sapevo che fosse al corrente della loro esistenza…
Ringrazio tutti coloro che si sono prestati al “gioco” delle mie interviste, rispondendo con pazienza, disponibilità, simpatia e curiosità.
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